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Industria 4.0: Credito d’imposta ricerca e sviluppo sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate

Il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo è una delle cinque agevolazioni fiscali del piano nazionale Industria 4.0, introdotto con D.L. 145/2013 e successivamente attuato con Decreto 190/2015 del Ministero delle Finanze.

L’obiettivo di Industria 4.0 era quello di incentivare la ricerca, lo sviluppo, l’innovazione di prodotti e processi e svecchiare il sistema produttivo italiano, arricchendo al contempo il parco di conoscenze dei dipendenti alla prova del paradigma 4.0.

In quest’ottica, il credito d’imposta ricerca e sviluppo, il Patent box, il credito d’imposta per la formazione 4.0, l’iper ammortamento (dal 2020, credito d’imposta per gli investimenti 4.0) e la Sabatini ter rappresentano un mix di strumenti potentissimi per rilanciare il settore produttivo italiano. I recenti controlli avviati dall’Agenzia delle Entrate, alla luce di una normativa poco chiara e contraddittoria, rischiano però di provocare effetti devastanti per le imprese che hanno utilizzato tali agevolazioni, soprattutto nel caso del credito R&S.

Il patto con il mondo dell'impresa

Da sempre l’Italia è additata di avere una macchina burocratica troppo farraginosa e lenta. Ciò, unitamente all’elevata pressione fiscale, rende il sistema industriale poco competitivo e di scarsa appetibilità per i potenziali investitori esteri.
Proprio per cercare di dare un sostegno concreto e immediato alle imprese, il piano Industria 4.0 è stato concepito sulla base di alcune caratteristiche molto chiare: automaticità, retroattività e cumulabilità.
Un vero e proprio patto di fiducia, che ha visto (e continua a vedere, considerata la proroga degli strumenti fino al 2022) attribuire all’imprenditore un ruolo cardine nella logica della rendicontazione del proprio beneficio fiscale.

Il credito d’imposta R&S

L’automaticità del credito di imposta, se da un lato rappresenta un’importante opportunità, per i tempi molto brevi di recupero del beneficio, dall’altro, in assenza di specifici indirizzi interpretativi, espone le imprese a concreti rischi di errore, dovuti spesso ad una cattiva lettura del disposto normativo.

Soprattutto nel caso del bonus ricerca e sviluppo, abbiamo assistito in questi anni a vari interventi legislativi, introdotti da leggi di stabilità e decreti leggi, con relative risoluzioni e circolari emesse dall’Agenzia delle Entrate e dal Ministero dello sviluppo economico, talvolta anche controverse.

Controlli fiscali sul credito ricerca e sviluppo

Da qualche mese, seppur a rilento a causa della pandemia da Covid-19 che ha parzialmente sospeso l’attività accertativa, gli uffici hanno giustamente avviato le attività di controllo.

Tante aziende stanno ricevendo gli inviti a fornire dati e notizie sui crediti inseriti nei quadri RU delle dichiarazioni dei redditi a far data dall’anno 2015.

La finalità di tale attività è quella di accertare la corretta rendicontazione delle spese e la conseguente debita fruizione del beneficio.

In tal senso, le aziende sono chiamate a fornire documenti quali, ad esempio, il progetto di ricerca, i documenti contabili e registri relativi alle spese oggetto di agevolazione, eventuali prove di laboratorio, il libro unico del lavoro, etc.
Acquisita la documentazione, gli Uffici hanno il complesso compito di verificare la corretta imputazione delle spese e soprattutto l’eleggibilità o meno del progetto di ricerca su cui l’azienda si è impegnata.

In tal senso, sarebbe sempre auspicabile azionare, secondo il principio di buona fede e collaborazione, il contradditorio preventivo con la parte, in considerazione degli elevati tecnicismi su cui difficilmente i funzionari saranno preparati.
L’Ufficio potrà contare sull’apporto di competenze tecniche del Ministero dello sviluppo economico, ogniqualvolta non sarà in grado di emettere un giudizio rispetto alle attività svolte dalle imprese.

Sotto il profilo delle tempistiche, si sta consolidando la tesi secondo cui il termine per notificare l’avviso di recupero o di accertamento sia ricondotto al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione.

Cosa deve fare chi ha rendicontato o compensato un credito d’imposta

La vostra azienda ha ricevuto un invito (questionario) da parte dell’Agenzia dell’Entrate che vi chiede di presentare la documentazione entro 15 giorni dalla notifica?

La prima cosa da fare è riscontrare la richiesta. Diversamente sarete soggetti ad una sanzione che va da 250 a 2000 euro e, cosa ben più grave, gli Uffici provvederebbero ad emettere immediatamente un avviso di accertamento induttivo, eccependo il credito inesistente. In tal caso, l’azienda non potrà neanche utilizzare eventuali documenti non forniti in sede di questionario durante la fase del contenzioso.

Il termine dei 15 giorni non è perentorio, per cui qualora la documentazione sia copiosa e il tempo non sufficiente, potrete sempre contattare gli Uffici per chiedere una dilazione che, con ogni probabilità, vi verrà concessa.

La più grande criticità della situazione che si sta delineando è dovuta alla spesso carente organizzazione della piccola impresa italiana, che non solo non formalizza le attività di ricerca e sviluppo, ma fa ruotare l’intera catena attorno a poche figure chiave, che per le comunicazioni preferiscono dialogare direttamente con i vari reparti anziché utilizzare le e-mail.

Queste imprese che hanno utilizzato il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo oggi vivono la grande difficoltà di non poter provare dettagliatamente, quantomeno sotto il profilo dell’effettività, la ricerca svolta, poiché al netto dei documenti previsti dalla norma (nemmeno per tutti gli anni, si pensi ai timesheets o alla relazione tecnica) hanno ben poco da presentare agli uffici.

La mancanza di un soggetto autorizzativo a monte (di cui potersi fidare nella fase di redazione progettuale in ossequio al principio automatico sopra riportato), la carenza di personale tecnico all’interno del MiSE che spesso, non essendo soggetto ai termini di risposta agli interpelli tecnici, lascia in balia di se stessi gli imprenditori, non fanno altro che complicare ulteriormente le cose.

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Quali sanzioni possono derivare dall'accertamento

Consegnata la documentazione agli Uffici in risposta al questionario, quello che ci si potrebbe legittimamente e auspicabilmente aspettare è un bel: “Complimenti per gli sforzi effettuati a beneficio dell’intera economia italiana”. Purtroppo non sempre va così.

Ricordiamoci che ricevere il questionario è una cosa del tutto normale e non è un indicatore di negatività. Trattandosi di agevolazioni automatiche, finchè gli uffici non acquisiscono la documentazione l’unica cosa che sanno è che l’azienda ha compensato un importo X per avere autonomamente e automaticamente determinato un’agevolazione fiscale.

Ma da quanto stiamo vedendo in queste prime fasi di contraddittorio, l’orientamente generale sembrerebbe tutt’altro rose e fiori, in quanto spesso viene contestata e sanzionata la condotta posta in essere.

Per rispondere alla domanda “Quali sanzioni possono derivare dall’accertamento?” è necessario fare una distinzione molto importante, da cui derivano a cascata tutte le conseguenze in termini di accertamento, sanzioni e possibilità di beneficiare della definizione agevolata per estinguere il proprio debito.

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Crediti inesistenti o crediti non spettanti: questo è il dilemma

“Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e all’art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n.633”.

Si tratta del testo dell’art. 13, comma 5 del D. Lgs 471/1997 che cristallizza i requisiti e le condizioni che devono verificarsi per sanzionare l’inesistenza di un qualsiasi credito d’imposta.

In totale contraddizione con quanto sopra riportato, sembra che la linea che stanno seguendo gli Uffici delle Entrate nel processo di verifica dei crediti d’imposta, in maniera pressochè generalizzata, sia quella di eccepire proprio l’inesistenza, a prescindere dal fatto che quasi sempre i crediti d’imposta sono inseriti nel quadro RU della dichiarazione, di fatto venendo meno la seconda caratteristica che imporrebbe di sanzionare la non spettanza.

La differenza è tutt’altro che banale. La sanzione per credito d’imposta inesistente è di un importo compreso tra il 100% e il 200%, a cui si aggiunge l’impossibilità di definire in maniera agevolata l’accertamento. Ciò significa che non sarà possibile avere un contradditorio con l’Ufficio mirato alla ridefinizione delle sanzioni, con abbattimento fino ad 1/5 e possibilità di pagare quanto dovuto in 20 rate trimestrali di pari importo se il debito supera i 50.000 euro.

Al contrario, la sanzione per credito d’imposta non spettante è pari al 30% del credito indebitamente compensato con la possibilità di accedere alla definizione agevolata e al pagamento rateale di quanto eventualmente dovuto.

A ciò si aggiungono i profili penali nel caso in cui venga superata la soglia di compensazione annuale fissata dall’art. 10 quater del D.Lgs 74/2000.
Anche in questo caso la distinzione fa la differenza, in quanto se il credito è inesistente l’amministratore rischia una condanna da 18 mesi a 6 anni di reclusione, mentre nel caso di credito non spettante da 6 mesi a 2 anni, con possibilità di estinguere il debito prima dell’apertura del dibattimento di primo grado per vedere stralciata la propria posizione.

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Nel caso avessi già ricevuto un questionario o un accertamento, i nostri specialisti potranno supportarti nelle fasi difensive sia stragiudiziali che giudiziali.

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