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Credito ricerca e sviluppo, gli errori fatali in caso di controllo

Il credito d’imposta Ricerca e Sviluppo è stata una delle agevolazioni fiscali più utilizzate del piano nazionale Industria 4.0, insieme al credito d’imposta per i Beni strumentali 4.0. Purtroppo tante imprese che ne hanno usufruito stanno avendo dei problemi nelle fasi di controllo. Vediamo gli errori più comuni commessi nella rendicontazione e come comportarsi.

Le criticità del credito d'imposta R&S

Il credito d’imposta Ricerca e Sviluppo, importante agevolazione del piano nazionale Industria 4.0, fin dal primo momento ha generato dubbi applicativi, sia agli imprenditori sia agli addetti ai lavori, che si sono trovati nel corso dell’evoluzione normativa a dover fare i conti con aggiornamenti relativi ad interpelli, risoluzioni, sentenze confusionarie, controsenso e soprattutto multidirezionali che non hanno consentito di dare agli utilizzatori, l’unica cosa necessaria su cui si fondano le scelte imprenditoriali: la certezza applicativa della norma. 

Ciò si è tradotto in una chiara ed evidente difficoltà anche nella fase del controllo, considerato che i funzionari di Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza non sono dotati di quelle competenze tecniche necessarie per entrare nel merito dei progetti e, soprattutto, non sono coadiuvati dal Ministero che avrebbe dovuto rispondere ai dubbi sul fronte dei tecnicismi. 

Ad oggi, la maggior parte dei controlli è sfociata nell’emissione di un avviso di recupero con sanzione per credito inesistente, segnalazione in Procura per l’amministratore se il credito supera la soglia di 50 mila euro compensati nell’anno (con rischio di condanna da un anno e sei mesi a sei anni) e reato 231, con tutto ciò che ne deriva in termini di sanzioni interdittive che interessano maggiormente tutte le società che ad esempio operano nei confronti della Pubblica amministrazione, come strutture sanitarie, mense, società di costruzioni, che potrebbero vedersi comminata anche la sanzione che prevede l’impossibilità di contrattare con la PA o ancora la revoca di una licenza o di una convenzione che segnerebbe praticamente la fine dell’azienda.

Gli errori fatali

Grazie all’esperienza maturata con la divisione Sos Crediti d’imposta di Ransomtax, con cui abbiamo accompagnato centinaia di imprenditori sia nella fase di accertamento sia di contenzioso, ho riassunto alcuni dei più ricorrenti errori riscontrati nella fase di rendicontazione dai cui derivano rischi difficilmente difendibili in caso di controllo. Nello specifico:

1. Omessa o errata compilazione del quadro RU La compilazione del quadro RU è un requisito sostanziale molto importante che, normativamente, dovrebbe escludere nel caso di accertamento l’emissione della sanzione per credito inesistente in favore di quella prevista per credito non spettante. La differenza è molto importante sia per dal punto di vista quantitativo (dal 100% al 200% per la prima contro il 30% per la seconda), sia dal punto di vista dei termini di accertamento, sia dal punto di vista penale;

2. Utilizzo errato codice tributo in compensazione. Spesso ci è capitato di appurare errori in fase di compensazioni, facilmente rilevabili dal controllo formale;

3. Superamento del credito maturato. In alcuni casi da un riscontro sulle compensazioni è emerso che il credito effettivamente maturato e dichiarato nel quadro RU della dichiarazione non coincide con la somma delle compensazioni effettuate tramite modello F24;

4. Carenza dei requisiti formali e sostanziali della relazione tecnica. É un documento molto importante che a prescindere dai dettami normativi, dovrebbe rappresentare l’unico strumento in grado di poter inquadrare le attività all’interno del perimetro normativo. Se la relazione è carente i verificatori (compreso il Ministero) nell’impossibilità di verificare ciò che è stato effettivamente svolto, procederanno con l’emissione dell’atto di recupero.

5. Elevate quote di costo orario di personale e amministratore. In alcune aziende, sembrerebbe che negli anni in cui è stato rendicontato questo credito non si sia fatto altro se non ricerca e sviluppo. Abbiamo analizzato casistiche dove dipendenti e amministratore (spesso con titoli non in linea con i requisiti progettuali) raggiungevano il 70% del proprio tempo di lavoro impiegato in attività di R&S;

6. Codici Ateco incompatibili. Va premesso che in linea di principio il Piano era rivolto al settore industriale (da qui Industria 4.0) poi evolutosi in transizione 4.0. É chiaro che alcuni codici ateco, soprattutto per ciò che concerne il credito d’imposta R&S 2015-2019, sono per propria natura esclusi a priori. Tra questi segnalo ad esempio: Aziende operanti nel settore servizi; Aziende operanti nel campo dei software; Società del settore della logistica; Società che operano per conto terzi; Società che lavorano nel settore rifiuti; Società di vario genere per progetti fatti sul processo.

Cosa fare

È molto difficile dare una risposta generalizzata alla domanda che ci viene posta di frequente, in virtù del fatto che sono diversi gli errori che potrebbero interessare un caso di specie ed è diversa la stessa condizione in cui versa l’azienda. 

In linea di massima, bisogna distinguere le seguenti situazioni di base:

1. Avviata fase di accertamento, cioè è stato notificato un questionario ex art. 32 D.P.R. 600/73, ancora non concluso;

2. Notificato avviso di accertamento o avviso di recupero;

3. Nessuna delle precedenti.

Nel primo caso, si è in una fase molto importante e delicata, in quanto gli Uffici fino a questo momento non hanno alcuna documentazione nel merito, se non i numeri che emergono dalla dichiarazione dei redditi (se è stato compilato il quadro RU), per cui è essenziale prima ancora di consegnarla effettuare scrupolose verifiche finalizzate a rendere più chiari possibili i progetti rendicontati ed accertarsi che non vi siano errori oggettivi nella fase dei calcoli. Una volta effettuata la consegna va seguita l’istruttoria prendendo contatto con il funzionario, attivando il contraddittorio ed integrando punti che potrebbero essere non chiari ai controllori.

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Il secondo caso, rappresenta il passaggio successivo all’accertamento e purtroppo si tratta di un atto definitivo che può soltanto essere impugnato. In questo caso, anche se sembrerà assurdo, anche in caso di ricorso, il contribuente è tenuto a versare interamente il debito entro i 60 giorni dalla notifica a meno che non ottenga la sospensiva dell’atto. In caso contrario, decorsi i 60 giorni, l’agenzia delle entrate | Riscossione potrebbe attivare le misure cautelari, come sequestri conservativi e atti di pignoramento. 

Nel terzo caso, auspicando che presto venga ufficializzato e formato l’albo dei certificatori la migliore strategia prevede l’ottenimento di quest’ultima che blinderebbe una volta per tutte il credito o in caso contrario procedere con l’istituto della sanatoria, attualmente interessata da una proroga che posticiperà il termine ultimo per l’invio al 30 luglio 2024. 

Il mio suggerimento è quello di ricontrollare in dettaglio i progetti rendicontati, in maniera tale da approfittare della via d’uscita determinata dal condono o dalla certificazione, ed evitare così di trovarsi di fronte a situazioni complesse da gestire.

a cura di Roberto Triolo

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