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Credito non spettante, 8 anni di tempo al Fisco per i controlli

Per la Corte di Cassazione la distinzione tra credito non spettante e credito inesistente è “priva di fondamento logico-giuridico” e il margine di tempo fissato per le verifiche da parte dell’Amministrazione finanziaria deve quindi essere indistintamente fissato in otto anni.

L'ordinanza della Cassazione

Con un’ordinanza che desta più di qualche perplessità (n. 24093/2020 depositata il 30 ottobre 2020) il tribunale supremo ha accolto un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Bari che annullava un atto di recupero e la cartella di pagamento emessi nei confronti di un’impresa.

L’ente impositore contestava all’azienda di non possedere i requisiti per potersi avvalere della compensazione in ordine a vantati crediti d’imposta, non essendo in regola con il rispetto delle norme previste a tutela della sicurezza dei lavoratori e avendo assunto due lavoratori quando non risultavano disoccupati da almeno 24 mesi.

Sia la CTP sia la CTR di Bari davano ragione all’impresa ricorrente, in quanto gli avvisi di accertamento erano stati notificati il 22 novembre 2010 in relazione agli anni 2003 e 2004. Dunque ben oltre il termine del “31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”, così come previsto dal DPR n. 600/1973, art. 43, comma 1.

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate sarebbe decaduta dalla possibilità di esercitare il suo potere impositivo. Inoltre, non poteva applicarsi il raddoppio dei termini ai sensi dalla L. 74/2000, poiché l’ente impositore non aveva fornito alcuna prova sulla rilevanza penale della violazione.

Otto anni per l'accertamento

Per la Corte di Cassazione, però, il giudice dell’appello ha trascurato la previsione di cui al DL. 185/2008 (e non 185/1998 come erratamente riportato in sentenza), art. 27, con particolare riferimento ai commi 16 e 17, ritenendo quindi che anche per crediti non spettanti il termine di decadenza del potere di accertamento sia di otto anni. Ciò a prescindere che la norma si riferisca solo ai crediti inesistenti.

Quanto sopra in totale disallineamento rispetto alla previsione tassativa della stessa norma richiamata.

Infatti l’art. 27 del DL. 185/2008 prevede testualmente che l’atto di recupero dei crediti d’imposta emesso ai sensi dell’articolo 1 comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 “…per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.

Dal tenore letterale dell’art. 27 sopra richiamato è evidente che il Legislatore faccia riferimento alla sola ipotesi di credito inesistente non richiamando il credito non spettante.

La Suprema Corte, contrariamente, ha osservato che la norma in questione, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti inesistenti compensati, “non intende elevare l’“inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 43, per il comune avviso di accertamento”.

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Contribuente penalizzato

Si tratta una decisione che va nella direzione opposta rispetto a quanto previsto dal Legislatore, che sulla distinzione tra credito inesistente e credito non spettante ha prospettato profili sanzionatori notevolmente diversi, in luogo del diverso disvalore attribuibile alle due condotte.

Differenza che emerge sia in sede di sanzioni amministrative ex D. Lgs 471/1997 che in sede penale come da art. 10-quater D. Lgs 74/2000 e che erano già chiari e presenti nell’ordinamento al tempo dell’inserimento dell’art. 27.

Ancora una volta, nonostante il Legislatore abbia chiaramente distinto due fattispecie rilevanti, si assiste ad un’interpretazione estensiva e lesiva della parte più debole del rapporto, il contribuente, a cui non rimane che adeguarsi considerato che l’unico strumento di difesa, ovvero il contenzioso, non garantisce alcuna tutela.

In conclusione non si comprende la logica sottostante a tale decisione che ci auguriamo non si consolidi in futuro, considerato che gli Uffici deputati al controllo hanno un margine di tempo già abbastanza ampio, tra l’ altro non ancorato all’ultima dichiarazione presentata (come avviene di norma), ma all’ultimo utilizzo del credito d’imposta compensato, rendendo il termine di accertamento paradossalmente illimitato.

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