sanzioni crediti di imposta

Come evitare le sanzioni del 100% sui crediti d’imposta

I crediti d’imposta sono strumenti molto potenti, ricercati e adoperati da numerose imprese.
Di fatto permettono alle casse dell’azienda di prendere ossigeno, in quanto il debito, che sia inerente un’imposta, un contributo o una tassa, viene estinto facendo ricorso al credito maturato e non alla liquidità, che rimane ferma sul conto corrente. Bisogna stare però molto attenti a non incorrere in sanzioni.

I crediti di imposta di Industria 4.0

I crediti d’imposta sono spesso utilizzati dal Legislatore per sostenere lo sviluppo delle imprese in zone depresse o ancora incentivare gli investimenti in specifici settori, com’è avvenuto nel caso del Piano nazionale Industria 4.0.

Attualmente i crediti d’imposta più ricercati dalle imprese sono così sintetizzabili:

  • Credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design
  • Credito d’imposta per gli investimenti nel mezzogiorno
  • Credito d’imposta per la formazione 4.0
  • Credito d’imposta per la pubblicità
  • Credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali (ex iper ammortamento)

Crediti “automatici” ma rischiosi

Ottenere il credito d’imposta è paradossalmente semplice e nell’ambito della nostra ordinaria attività abbiamo conosciuto tanti imprenditori che hanno auto-determinato l’agevolazione, proprio perché, per volontà del Legislatore, questi strumenti sono esenti dalla burocrazia, praticamente azzerata, e l’accesso al beneficio avviene in maniera automatica.

Proprio questo automatismo, abbinato all’evoluzione delle norme nel corso del tempo, è spesso il responsabile dei più grossolani errori, che in sede di verifica da parte degli Uffici preposti espongono l’utilizzatore ad ingenti sanzioni amministrative e, al superare di determinate soglie di compensazione, a veri e propri reati fiscali.

Specificamente, nel caso in cui a seguito di un controllo viene accertata l’indebita fruizione, anche parziale, del credito d’imposta, l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni secondo legge.

Senza voler entrare troppo nei tecnicismi, nell’ambito del recupero fiscale distinguiamo sanzioni amministrative, che si traducono nel pagamento di un importo oltre al recupero del credito compensato, e reati tributari, che scattano al momento in cui l’indebita compensazione supera determinati importi, con sanzioni ben più gravi.

Credito non spettante e credito inesistente

Nell’ambito delle sanzioni amministrative si distinguono sanzioni per credito non spettante e sanzioni per credito inesistente.

La differenza tra le due non è irrilevante in quanto:

Nell’ambito delle sanzioni amministrative si distinguono sanzioni per credito non spettante e sanzioni per credito inesistente. La differenza tra le due non è irrilevante in quanto:

Le sanzioni per credito non spettante comportano il pagamento:

  • di un importo pari al 30% del credito indebitamente compensato
  • termini di accertamento di 5 anni dall’ultima compensazione
  • possibilità di accedere alla definizione agevolata

Le sanzioni per credito inesistente comportano il pagamento:

  • di un importo dal 100% al 200% del credito indebitamente compensato
  • termini di accertamento di 8 anni dall’ultima compensazione
  • impossibilità di accedere alla definizione agevolata

Secondo quanto disposto dall’art. 13, comma 5 del D. Lgs 471/1997 “si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e all’art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n.633”.

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Come evitare la maxi-sanzione

Per non incappare nelle maglie della sanzione per credito inesistente, con sanzioni dal 100% al 200%, a nostro avviso è necessario e potenzialmente sufficiente che una volta rendicontato il credito, lo stesso venga inserito nel quadro RU della dichiarazione dei redditi dell’anno in cui è maturato e negli anni di utilizzo. Cosa che, per esperienza, abbiamo visto non essere scontata per tanti imprenditori.

Ciò a differenza delle conclusioni a cui è arrivata l’Agenzia delle Entrate che, per batter cassa e godere di più ampi termini di accertamento, ha comminato, anche in presenza di iscrizione del credito in RU, la sanzione del 100% per credito inesistente.

La sentenza della Ctr Emilia Romagna

Su questo aspetto è però già intervenuta, con una recente sentenza, la Commissione tributaria regionale Emilia Romagna (sentenza n. 2342 del 28 novembre 2019), che ha confermato quanto da noi sostenuto.

In sostanza, tutte le volte che un credito d’imposta risulta indicato nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, essendo “intercettabile” mediante i controlli automatizzati, la condotta del contribuente non può essere considerata fraudolenta. Per tale ragione – in caso di utilizzo indebito – non può essere sanzionato come credito inesistente ma solo come credito non spettante e quindi con l’applicazione della sanzione ridotta del 30%.

Ovviamente per mettersi al riparo, qualora tale adempimento non sia stato posto in essere, a prescindere dall’avvenuta compensazione, è possibile provvedere con dichiarazione integrativa.

La circolare 31/E dell’Agenzia delle Entrate

Nonostante la sentenza della Ctr Emilia Romagna, l’Amministrazione finanziaria continua però a configurare l’ipotesi di utilizzo di un credito inesistente nei casi in cui a seguito dei controlli sia accertato che le attività o le spese sostenute non risultino tra quelle ammissibili.

Così ribadisce la circolare 31/E del 23 dicembre 2020 diffusa dall’Agenzia delle Entrate a seguito delle “numerose richieste pervenute in ordine alle attività di controllo e all’eventuale recupero del credito d’imposta indebitamente fruito, con particolare riguardo all’individuazione del termine di decadenza dell’attività di accertamento”.

L’agevolazione a cui si fa riferimento è il cosiddetto credito d’imposta ricerca e sviluppo, le cui disposizioni di attuazione della disciplina sono contenute nel decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 maggio 2015. In particolare, nell’articolo 8 è disposto che “l’Agenzia delle entrate effettua controlli finalizzati a verificare la sussistenza delle condizioni di accesso al beneficio, la conformità delle attività e dei costi di ricerca e sviluppo effettuati”.

Qualora a seguito dei summenzionati controlli, ribadisce la circolare 31/E, sia accertato che le attività sostenute non siano ammissibili al credito d’imposta ricerca e sviluppo si configura un’ipotesi di utilizzo di un credito inesistente per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo ed il relativo atto di recupero dovrà essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando ai fini della violazione la mera esposizione del credito in dichiarazione annuale.

Gli effetti di ciò sono rilevanti e severi. Non solo per l’allungamento dei termini di accertamento fino a otto anni dall’utilizzo dell’agevolazione in compensazione, ma anche per le sanzioni applicabili, che possono arrivare fino al 200% dello stesso credito.

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L’Agenzia dell’Entrate, fermo restando che per tale sanzione non è applicabile la definizione agevolata, ha ricordato che il contribuente può beneficiare della riduzione delle sanzioni prevista dall’art. 13 del decreto legislativo n.472 del 1997, il cosiddetto ravvedimento, anche successivamente alla constatazione della violazione ma comunque prima che sia stato notificato l’atto di recupero.

I competenti uffici, in ragione delle “circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione”, potranno inoltre applicare la stessa sanzione riducendola sino alla metà del minimo edittale, ai sensi del comma 4 art. 7 del D. Lgs. 472/1997.

Come già detto, riteniamo l’impostazione generale adottata dall’Agenzia delle Entrate eccessivamente punitiva nei confronti del contribuente. L’applicazione delle sanzioni per credito inesistente, infatti, dovrebbe riguardare solo le ipotesi in cui ricorra un comportamento fraudolento da parte dell’azienda (come nel caso di attività di ricerca e sviluppo documentate ma mai realmente svolte oppure di attività create artificiosamente).

Quando si tratta, invece, di questioni interpretative legate all’ammissibilità di alcune spese o attività, l’ipotesi dovrebbe essere quella del credito non spettante, tenuto conto anche delle incertezze interpretative che hanno caratterizzato la disciplina del credito d’imposta R&S almeno fino al 2018.

Francamente la logica dettata dalla circolare 31/E è altamente punitiva nei confronti delle imprese che nel tentativo di fare innovazione hanno dovuto interpretare la norma molto complessa e già oggetto di decine di interventi spesso contraddittori più che chiarificatori.

Allo stesso tempo così facendo vengono messi sullo stesso piano gli imprenditori che hanno effettivamente svolto delle attività, sostenendo costi e relativi rischi, con gli imprenditori che fraudolentemente non hanno sostenuto alcun costo e non hanno svolto nessuna attività. E questo è un pessimo messaggio.

Il riversamento del credito R&S indebitamente fruito

Con la manovra finanziaria 2022 sono state previste alcune significative novità per il credito d’imposta ricerca e sviluppo 2015/2019.
L’art. 5, commi 7-12, del Dl n. 146 del 21 ottobre 2021, prevede infatti per i soggetti che hanno utilizzato in compensazione il credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo, la possibilità di effettuare il riversamento dell’importo del credito indebitamente utilizzato, senza applicazione di sanzioni e interessi

La procedura di riversamento spontaneo ha il duplice scopo di deflazionare le ipotesi di contenzioso tributario e di determinare per il Fisco, in tempi ragionevoli, il recupero spontaneo delle risorse afferenti al credito d’imposta R&S erroneamente fruito dalle imprese nel quinquennio 2015/2019.
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La sentenza della Cassazione n. 34445/21

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 34445/21 è tornata sulla delicata distinzione tra crediti d’imposta non spettanti e crediti d’imposta inesistenti.

In totale controtendenza rispetto alle precedenti sentenze, La Cassazione ha statuito che affinchè si parli di inesistenza (con tutto ciò che ne consegue in termini di imposte, accesso alla definizione agevolata e rilievi penali) è necessario che si verifichino congiuntamente i requisiti previsti dall’art. 13, comma 5, del D.Lgs 471/1197. LEGGI LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

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