Crediti inesistenti e crediti non spettanti, una querelle ancora aperta
La corretta distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti, con gli effetti che ne conseguono, rimane una questione tutt’altro che chiusa. Risale a poco tempo fa la notizia del rinvio della questione, sorta nell’ambito di un contenzioso tributario, dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione alle Sezioni Unite (ordinanza n.35536/2022). Dovranno quindi ricredersi quanti ritenevano ormai consolidato l’orientamento, enucleato nelle famose “sentenze gemelle”, secondo il quale la dicotomia tra crediti inesistenti e crediti non spettanti esiste ed ha un rilievo in termini sanzionatori e sulla decadenza dei relativi atti impositivi. La vicenda trae origine dal recupero di alcuni crediti di imposta non spettanti. Tra i motivi del ricorso, il contribuente eccepiva la decadenza dell’azione di recupero dell’Ufficio. Secondo la tesi difensiva, trattandosi di contestazione relativa a crediti non spettanti l’atto doveva essere emesso negli ordinari termini di accertamento salvo l’eventuale raddoppio (previsto al tempo) in presenza di reato tributario.
Excursus normativo
In merito alla disciplina dei crediti d’imposta, la legge individua due fattispecie: i crediti d’imposta inesistenti e i crediti d’imposta non spettanti.
In relazione ai primi la norma di riferimento è l’art. 27 comma 16 D.l 185/2008, il quale prescrive che “per i crediti inesistenti indebitamente compensati, l’atto vada notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è avvenuta la compensazione”. La norma non lascia adito a dubbi e, infatti, ha incontrato il parere favorevole della Giurisprudenza che ha ribadito il principio in numerose pronunce.
Per quel che concerne, invece, i crediti non spettanti la disciplina di riferimento è individuata nell’art. 43 comma 1 D.P.R. 600/1973, a norma del quale “Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”.
A ben notare, le due discipline sono diverse sotto vari profili. Per quel che concerne il profilo dell’accertamento amministrativo, per i crediti inesistenti è previsto un termine decadenziale di otto anni che decorre dall’anno di compensazione, proprio a voler evidenziare la delicatezza della disciplina, in cui la lungaggine dei tempi è giustificata dalla gravità della violazione commessa dal contribuente, supportata da una condotta fraudolenta. Viceversa, nell’ipotesi dei crediti non spettanti (fino al periodo d’imposta 2015) il termine decadenziale prescritto era di 4 anni a partire dall’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, individuando così un termine più breve proprio in ragione della minore gravità della condotta tenuta.
Deroghe dei termini per via del Covid
A causa della pandemia verificatasi negli ultimi anni, che ha comportato una grave emergenza, sono state apportate alcune modifiche alla normativa. In particolare, per quel che riguarda la materia dell’accertamento tributario, sono state introdotte diverse novità.
Il Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020 n. 18, all’art. 67 comma 4 ha disposto un rinvio (derogando così le disposizioni dello statuto del contribuente) all’art. 12 della L. 159 del 2015, rubricato “sospensione dei termini per eventi eccezionali”, precisamente al comma 2, il quale prevedeva una proroga di 2 anni del termine di decadenza dell’attività degli uffici. Proroga contenuta nella stessa circolare del 3 aprile 2020 n. 8/E emessa dell’Agenzia delle Entrate.
Alla iniziale modifica del perimetro temporale del potere di accertamento fiscale operata dall’art. 67 del decreto Cura Italia, si è aggiunta la disciplina introdotta dall’articolo 157, comma 1, del decreto legge 34/2020, il cosiddetto Decreto rilancio, rubricato “proroga dei termini al fine di favorire la graduale ripresa delle attività economiche e sociali”), da ultimo così sostituito dall’art. 22 bis, comma 1, d.l. 31.12.2020, n. 183, così come inserito dall’allegato alla legge di conversione, l. 26.02.2021, n. 21 con decorrenza dal 02.03.2021, a norma del quale “In deroga a quanto previsto dall’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni, di recupero dei crediti d’imposta, di liquidazione e di rettifica e liquidazione, per i quali i termini di decadenza, calcolati senza tener conto del periodo di sospensione di cui all’articolo 67, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, scadono tra l’8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020, sono emessi entro il 31 dicembre 2020 e sono notificati nel periodo compreso tra il 1° marzo 2021 e il 28 febbraio 2022, salvi casi di indifferibilità e urgenza, o al fine del perfezionamento degli adempimenti fiscali che richiedono il contestuale versamento di tributi”.
Cosa deve fare il contribuente allo spirare dei termini di decadenza
Aspetto importante da evidenziare è che con lo spirare del termine di decadenza, non si estingue il potere impositivo bensì diventa illegittimo il suo esercizio. Pertanto, l’atto notificato fuori termine non è un atto emesso in carenza di potere, e quindi inesistente, ma è un atto annullabile. Ciò vuol dire che questo deve essere impugnato dal contribuente, altrimenti l’atto produce effetti. Secondo costante giurisprudenza, infatti, l’intervenuta decadenza del potere di accertamento non è rilevabile d’ufficio, ma è un’eccezione in senso proprio e quindi deve essere dedotta dal contribuente nei motivi di ricorso.
L'evoluzione dell'orientamento giurisprudenziale
A questo punto, appare indispensabile evidenziare un altro importante aspetto: il fatto che se da un lato la diversità (quanto a termini di decadenza, sanzioni, etc.) della disciplina emanata in relazione alla tipologia di crediti, inesistenti e non spettanti, appare sostanzialmente chiara, dall’altro la Giurisprudenza ha generato non poca confusione. Infatti, in un primo momento l’orientamento prevalente affermava che “(è…) priva di fondamento logico-giuridico la distinzione tra credito non spettante e credito inesistente e, pertanto, hanno statuito che il termine di decadenza vada indistintamente fissato in otto anni” (Cassazione ord. 24093/2020).
Pertanto, stando al tenore della pronuncia, non esiste alcuna differenza tra credito inesistente e credito non spettante, cosicché l’art. 27 comma 16 D.l. 185/2008 trova applicazione in entrambe le fattispecie. Tuttavia, tale orientamento è stato negli ultimi anni sconfessato dalla stessa Corte nelle due importanti pronunce gemelle, le sentenze n. 34444 e 34445 del 16 novembre 2021, nelle quali la sezione V della Corte di Cassazione è intervenuta con chiarezza nell’annoso dibattito sulla distinzione tra le nozioni di credito inesistente e credito non spettante, rilevante sia ai fini sanzionatori, sia per il “raddoppio” dei termini di accertamento/recupero. In particolare, nelle due sentenze la Corte ha affermato che “In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza «termale, previsto dall’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2 del 2009, presuppone l’utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997 (introdotto dall’art. 15 del d.lgs. n. 158/2015) – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972”.
A questa importante pronuncia ne sono seguite numerose dello stesso tenore, tanto da far ritenere la questione ormai risolta sebbene la stessa non avesse ancora trovato conferma della Cassazione a Sezioni Unite.
Tuttavia, non bisogna sottacere il fatto che in questi anni vi sono state anche pronunce contrarie. Tra queste, la sentenza n. 31429/2022 con la quale è stato confermato il differente periodo decadenziale del potere di rettifica degli uffici, a seconda della tipologia di credito. Con altre (Cassazione n. 25436/2022 e n. 31419/2022) si è sostenuta l’assenza di distinzione tra le due tipologie di crediti, applicando per entrambi il termine di decadenza di otto anni. Ciò in quanto la previsione del termine lungo di recupero dei crediti inesistenti non presupporrebbe una distinzione tra “inesistenza” e “non spettanza”, ma sarebbe volta a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche sull’investimento che ha generato il credito, indistintamente fissato in otto anni, senza applicazione del più breve e ordinario termine previsto per l’avviso di accertamento.
Alla luce di ciò, il rinvio della questione alle Sezioni Unite appare ovviamente necessaria considerato il differente orientamento formatosi in seno alla stessa sezione tributaria della Corte dopo la sentenza 34444/2021. Del resto, il “diritto” non si presta a plasticismi, formalismi o a cristallizzazioni, bensì è in continua evoluzione e trasformazione. Cme diceva Eraclito, “Panta Rei”, tutto è destinato a modificarsi, evolversi e cambiare nel corso del tempo, nulla rimane fermo e inalterato.
a cura di Maria Alessandra Salerno
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