Il parere del MiSe sui controlli del credito R&S

Il parere del MiSe sui controlli del credito R&S

Nell’ultimo periodo sono aumentate le attività di prevenzione e controllo attraverso l’invio delle lettere di compliance alle imprese, colpendo in particolare l’ambito della fruizione dei crediti d’imposta. Nello specifico, il controllo sulla spettanza del credito d’imposta R&S, è affidato all’Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza. I controlli vertono sulla corretta applicazione del credito sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista fiscale.
Dal punto di vista tecnico, una questione ancora aperta è l’obbligatorietà o meno di ricorrere al parere tecnico del Mise, soprattutto nel caso di alto tecnicismo.

La circolare 5E del 16 marzo 2016

La normativa originaria è poco chiara in merito. Infatti all’art. 8 della circolare 5E del 16 marzo 2016, in materia di controlli, si legge:
[…] L’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto attuativo, svolge l’attività di controllo sulla base dell’apposita documentazione contabile certificata. In particolare, ai sensi del successivo articolo 8, comma 1, ai fini della corretta fruizione del credito di imposta, l’Agenzia delle entrate, nell’ambito dell’attività di controllo, verifica la sussistenza delle condizioni richieste dalla disciplina agevolativa, nonché l’ammissibilità delle attività e dei costi sulla base dei quali è stato determinato il credito di imposta. Nel caso in cui si rendano necessarie “valutazioni di carattere tecnico” in ordine all’ammissibilità di specifiche attività ovvero alla pertinenza e congruità dei costi sostenuti, il comma 2 dell’articolo 8 del decreto attuativo attribuisce all’Agenzia delle entrate la facoltà di richiedere al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere. […]

L’incremento dei controlli rappresenterà nei prossimi mesi un argomento che coinvolgerà molte Commissioni tributarie, soprattutto alla luce del fatto che tale attività di controllo si conclude spesso con la contestazione che i progetti svolti non presentano le caratteristiche richieste dalla normativa per poter accedere al credito d’imposta.
Ed è proprio la corretta interpretazione e applicazione della normativa l’elemento primario della querelle tra Amministrazione finanziaria e contribuenti.

Le sentenze delle Ctp di Vicenza e Ancona

A tal proposito, sia la CTP di Vicenza (con la sentenza n. 365/3/2021) sia la CTP di Ancona (con la sentenza n. 392/2/2021) sono giunte alla conclusione che per poter esprimere un giudizio sulla sussistenza dei requisiti per ottenere il credito d’imposta relativo all’attività di ricerca e sviluppo l’Agenzia delle Entrate deve necessariamente richiedere il parere al Mise.

Le due sentenze stabiliscono in sostanza che l’amministrazione finanziaria non ha le competenze per le valutazioni di carattere tecnico e non può fare da “autodidatta”. Tutto ciò, in sede di verifica, comporta uno sbilanciamento netto a favore dei poteri dell’amministrazione finanziaria, in una materia in cui ben difficilmente si può escludere che il profilo tecnologico sia preponderante e quasi sempre di natura complessa.

Per i giudici di primo grado, infatti, tutte le volte in cui la natura tecnica degli accertamenti è prevalente, la mera possibilità che sembrerebbe sottintesa al comma 12 dell’articolo 3 del Dl 145/2013 secondo cui «la predetta Agenzia può richiedere al ministero dello Sviluppo economico di esprimere il proprio parere», esprime in realtà la necessità di una discrezionalità tecnica che non può essere autonomamente esercitata dalla pubblica amministrazione se non attraverso il parere necessario degli organi tecnici e quindi delle strutture in seno al ministero dello Sviluppo economico o altri enti pubblici che possono essere chiamati in veste di consulenti super partes. Sarebbe auspicabile un intervento normativo in tal senso.

A cura di Giusy Patanè, Centro studi Ransomtax

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